DALLA COLLABORAZIONE ALLA CO-PROGETTAZIONE: STORIA DI UN’ESPERIENZA AI CASTELLI
I Progetti Terapeutico Riabilitativi Individualizzati nella salute mentale sono diventati terreno di co-progettazionre tra Asl, volontariato, cooperative
Una lunga storia di collaborazione tra associazioni e Asl: una collaborazione che si allarga e si approfondisce, fino a diventare vera e propria coprogettazione nell’ambito dei Progetti Terapeutico Riabilitativi Individualizzati per la salute mentale. Si svolge alle porte di Roma, nella zona dei Castelli romani, in quella che oggi si chiama Asl Roma 6, ma che fino all’anno scorso era la Asl Roma H.
La ricostruiamo con l’ingegner Arturo Loffredo, che è presidente dell’associazione Alchimia (che da quasi quindici anni opera nell’ambito della salute mentale) e della Consulta Dipartimentale per la Salute Mentale.
I primi progetti comuni
Una prima esperienza è nata proprio da un progetto proposto da Alchimia, nel 2010. «Volevamo realizzare il progetto Sabato Club, sul modello di un’esperienza francese. Era disegnato per creare opportunità di in-contro e inclusione per le persone fragili, nel fine settimana: dal lunedì al venerdì le persone in difficoltà avevano attività e riferimenti (il Centro di Salute Mentale, il Centro diurno, attività sportive), ma trascorrevano il sabato e la domenica a fumare e a guardare la televisione».
Il progetto ha avuto tre attori: gli enti pubblici (la Regione che ha messo i fondi, il Comune come stazione appaltante); l’associazione, che ha disegnato ed attuato il progetto; il Centro di salute mentale di Frascati, che ha dato supporto nella scelta e nell’accompagnamento delle persone. «L’esperienza è stata in qualche modo esemplare, perché ognuno ha avuto il proprio ruolo: l’associazione intercetta un bisogno del territorio, costruisce un progetto con i servizi sanitari e sociali, che danno una mano per quanto riguarda le loro specifiche competenze».
A questa prima esperienza, ha fatto seguito nel 2011-2012 il progetto Tutti fuori, che ha coinvolto, oltre ad Alchimia, al CSM e ai servizi sociali di Frascati, anche due cooperative. «Si trattava di una serie di interventi che si integravano tra loro: la cooperativa sociale Agricoltura Capodarco faceva un laboratorio di cucina, la cooperativa Arcobaleno attività sportive, Alchimia attività ludico-ricreative culturali nei fine settimana. E intanto la rete si allargava e si arricchiva».
La mancanza di strategia e il progetto Abili
Poi sono arrivati i tagli, particolarmente drammatici in una Regione come il Lazio, dove la sanità è stata commissariata. «Non ci sono più stati fondi pubblici nei Piani di zona per queste attività. E questo ha evidenziato un problema: la mancanza di una strategia concordata tra enti pubblici e Terzo settore. Invece una strategia a livello regionale o locale, che dia una prospettiva nel tempo, almeno tre anni, è indispensabile. Nella nostra associazione ci sono persone che vivono da sole: quando le attività terminano per loro è una perdita, un lutto. Si trovano nuovamente sole. Noi abbiamo cercato di continuare, ma senza fondi non è stato facile garantire continuità. Anche la collaborazione con la Asl è continuata, ma senza strategia comune bisogna reinventarsi continuamente, e diventa impossibile fare un percorso».
Nonostante tutto, nel 2014 è partito il Progetto ABILI, con l’obiettivo di offrire sostegno all’abitare, all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale.
Sei le realtà del territorio che hanno lavorato insieme: le cooperative Gnosis e Sorriso per Tutti, le associazioni Alchimia, Insieme Contro i Pregiudizi, Filoxenia e La Rosa Bianca. «Ci siamo riuniti in un’associazione temporanea di scopo», racconta Loffredo, «e con il supporto della Asl Roma H e di alcuni Comuni del territorio abbiamo risposto ad un bando regionale presentando il progetto ABILI (Abitare, lavorare e includere). Ognuno di noi sa fare e fa, all’interno del progetto, cose diverse. Alchimia organizza i week end, ma mentre prima lo faceva in un solo distretto della Asl, ora lo fa in tutti e sei (anche se alcuni hanno risposto di più, altri meno). Gnosis si occupa di avviamento al lavoro attraverso la metodologia IPS. La Rosa Bianca lavora sul cohousing, per persone uscite dalle comunità, e così via. I risultati sono stati ottimi».
La coprogettazione: i progetti terapeutico riabilitativi
Di progetto in progetto, la rete si è rinsaldata e si è arrivati ad una vera e propria co-progettazione.
Nel dicembre scorso sono stati presentati i risultati un progetto durato 18 mesi, promosso dal Dipartimento di Salute mentale della Asl Roma 6 in co-progettazione con il Terzo settore iscritto all’albo aziendale. Obiettivo: definire e realizzare Progetti Terapeutico Riabilitativi Individualizzati (PTRI), che permettano di tenere conto anche dei desideri degli utenti e soprattutto ne valorizzino l’impegno personale all’interno del percorso terapeutico.
Il progetto ha coinvolto 123 utenti – 120 dei quali sono arrivati fino alla fine del percorso – e ha permesso di mettere in campo una serie di azioni per i tre ambiti che abbiamo visto essere strategici per la salute mentale: l’abitare, il lavoro, l’inclusione sociale.
All’inizio è stato necessario costruire una metodologia di lavoro condivisa tra le équipe del DSM e le organizzazioni del Terzo settore: attraverso i tavoli di lavoro integrato e le attività di formazione comuni si sono creati i presupposti perché il nuovo modello operativo diventasse patrimonio comune.
Le azioni di rete, poi, hanno coinvolto Servizi Sociali, Caf, Centri per l’Impiego, associazioni di categoria e amministratori di sostegno. Il Terzo settore ha visto nascere nuove forme di collaborazione al proprio interno e ha svolto un importante ruolo di raccordo tra i diversi attori sociali del territorio ed il DSM (che pure mantiene la titolarità dei Progetti Terapeutico Riabilitativi Individualizzati).
Per il futuro la speranza è che i PTRI possano diventare prassi operative nell’ambito della salute mentale, includendo in modo ufficiale e stabile il mondo delle associazioni.
Intanto, nel mese di dicembre è stato avviato il percorso di formazione per la realizzazione del Budget Salute nel Distretto RM H1, uno strumento organizzativo-gestionale rivolto a persone con bisogni sociosanitari complessi, che ha come obiettivo appunto la realizzazione dei Progetti Terapeutico Riabilitativi Individualizzati.
Dopo la firma del protocollo d’intesa tra Asl e Comune di Monte Porzio Catone per avviare la sperimentazione, si è iniziato con la formazione, che vede ancora una volta fianco a fianco operatori del pubblico, operatori del privato e volontari.
Cinque considerazioni finali
Rileggendo l’esperienza insieme ad Arturo Loffredo, emergono alcune considerazioni significative.
Lo spazio delle associazioni. La prima riguarda il fatto che le associazioni di volontariato e di pro-mozione sociale, all’interno di reti così ampie, rischiano di essere il vaso di coccio o di non trovare spazio e fondi necessari, «ma, se c’è una strategia chiara tra Terzo settore e partner istituzionali, anche le associazioni meno strutturate possono organizzarsi e, come dimostrato, trovare il proprio ruolo, che è quello di accompagnare e dare valo-re giornalmente alla vita di chi ha difficoltà».
Gli obiettivi comuni. La seconda è che «ogni componente della rete – compresi gli enti pubblici – deve partecipare condividendo gli obiettivi. Occorre lavorare in modalità open book: non ci si possono dare obiettivi che collidono tra loro, ma ognuno deve fare la propria parte per quelli comuni. Non è facile, quando si parte dal basso e i bisogni sono individuali: allineare tutto quanto diventa complicato, bisogna mettersi a tavolino, prima di iniziare, e chiarire bene dove si vuole arrivare. Nel caso di ABILI, ad esempio, ha funzionato al 70 per cento».
La flessibilità. «Poi, partito il treno, bisogna avere la capacità di essere flessibili sulle fermate. Se non riusciamo ad arrivare a Milano perché c’è la nebbia, andiamo a Como. La flessibilità è un aspetto che va particolarmente curato, guardando al futuro».
Le reti stabili. «Le reti non si improvvisano e la progettazione non si inventa. Credo davvero che co-progettare sia indispensabile, a fronte dei nuovi bisogni, ma bisogna sviluppare la capacità di dialogo, che si affina facendo esperienza. Per cui sì, servono reti stabili e sperimentate. Si negozia, si arriva ad un accordo… Non si può ricominciare ogni volta da capo».
Gli Enti pubblici. «Anche gli enti pubblici devono essere disponibili e devono attrezzarsi per il lavoro di rete. Nei servizi sociali e sanitari ci sono ottime persone, che ci mettono tempo e passione, altri operatori invece non hanno la stessa disponibilità: anche le istituzioni sono fatte da individui. Ma ormai nelle Asl c’è una strutturale carenza di personale, sono pochi e molti si avvicinano all’età della pensione. Ma un lavoro comune coordinato dall’ente pubblico con il mondo associativo e cooperativistico, accordandosi su obiettivi condivisi, è quello che ci vuole per evitare che la co-progettazione diventi solo un modo di scaricare i problemi sul Terzo settore.
La co-progettazione comporta per tutti gli attori sia pubblici che privati di rivedere il proprio modo di lavorare: maggiore enfasi sul raggiungimento di risultati comuni e meno sul ruolo del singolo individuo».
Questo articolo è tratto dal n. 3/2016 di “VDossier”, interamente dedicato alla co-progettazione.
Scritto da: Redazione