PARTNERSHIP DI SVILUPPO LOCALE: ESPERIENZE DI RETI METROPOLITANE A CONFRONTO
Si è concluso con un incontro tra le esperienze di alcune reti metropolitane, il percorso formativo dei laboratori Teu di Roma
Si è concluso il 15 giugno scorso, con un incontro tra le esperienze di alcune reti metropolitane, il percorso formativo dedicato ai Laboratori TEU di Roma.
Due Laboratori per la città: Roma 1, dedicato alla parte Nord-Ovest e Roma 2, per la porzione Est-Sud. Due percorsi formativi svolti in parallelo per arricchire la riflessione di un processo, quello di TEU, mirato alla costruzione di partnership che si propongono di condividere idee e prospettive di sviluppo locale partecipato, a partire dagli attori del volontariato e del terzo settore che si muovono sui territori aggregando partner di diversa estrazione.
L’ultimo incontro, a laboratori uniti, è partito da una riflessione di Claudio Cippitelli, sociologo di Parsec Consortium, dal titolo: “Città, flussi, confini e community”. Un intervento che ha rilanciato contenuti culturali “alti” a coronamento di un percorso volto a valorizzare l’approccio “dal basso”, per una lettura del contesto in grado di dare conto del portato di sapere di chi opera nel sociale. A connettere i due estremi di questo continuum i processi di creazione di senso nella contemporaneità dell’ambito urbano.
La valorizzazione dei processi di creazione di senso è stata al centro del percorso formativo proposto ai Laboratori, come occasione di riflessione sul recupero di un patrimonio di conoscenze che ancora chiede una chiave di lettura, un codice che lo renda riconoscibile. Le espressioni “esperienze civiche, capitale sociale, relazioni solidali, reciprocità” non esauriscono quello che, in questo preciso momento storico, può essere offerto, come contributo allo sviluppo locale, dal volontariato e dal terzo settore, quando ritrovino lo spazio per riflettere in termini culturali sul proprio operato, quando ne recuperino, al di là dei tecnicismi, il senso politico di produzione della società e, di conseguenza, il potenziale di apertura di canali di partecipazione.
La contemporaneità dell’ambito urbano offre l’opportunità di spazializzare il processo, a partire da significative specificità. A questo proposito, la relazione di Cippitelli ha proposto due contenuti essenziali, uno storico e uno sociologico, dando conto così di un sostrato culturale a sostegno di alcune importanti piste di lavoro già proposte ai partecipanti dei Laboratori nel percorso formativo.
Dal punto di vista storico, richiamando il libro sulla Città di Massimo Cacciari[1], l’oratore ha illustrato come l’idea stessa di città presenti un duplice fondamento: Polis per i Greci, intesa come “luogo dell’éthos, il luogo che dà sede ad una gente” con il termine derivato polìtes, che indica il cittadino della Polis; e Civitas per i latini, termine nel quale “si manifesta la provenienza della città dal civis” ovvero il cittadino, termine primigenio che indica come la città “in qualche modo appare come il prodotto dei cives nel loro convenire insieme e darsi medesime leggi [….] al di là di ogni determinatezza etnica o religiosa”.
In una visione sociologica, sono stati invece presentati i tre elementi che, secondo Wirth[2] rendono la città uno spazio materiale e simbolico in grado di disegnare le relazioni tra gli individui e i gruppi, correlando il loro modo di essere al grado di intensità delle tre variabili: “dimensione, densità, eterogeneità” che, riducendosi, delineano lo sfumare verso l’ambiente rurale.
Su questi elementi si sono innestate le presentazioni delle reti metropolitane intervenute. Pino Galeota per il Coordinamento Periferie e Rosanna De Stefani per il Comitato Parco della Caffarella, già membro del Laboratorio. I due ospiti hanno raccontato spaccati della città vissuta ma anche letta, studiata, pensata e programmata, da gruppi di cittadini che, come i cives di cui parla Cacciari, hanno edificato una realtà urbana intorno a regole condivise. Due esempi di processi che hanno dato luogo a realtà urbane, a partire dalla volontà di cittadini orientati a recuperare il valore dell’abitare.
Il coordinamento delle periferie è una realtà multiforme che connette il mondo dell’università con quello delle periferie passando per il terzo settore e il volontariato. Prende forma nel 2015 in occasione della manifestazione Spiazziamoli – 50 piazze contro le Mafie, per contrastare il connubio “periferie uguale emergenza” e recuperare capacità progettuali per una città del futuro, a partire proprio dall’idea di periferia come risorsa, attraverso l’utilizzo di strumenti come programmazione, pianificazione, inchiesta, analisi dei territori nell’orizzonte della rigenerazione urbana.
Il coordinamento, che si innesta sull’attività dell’APS “Corviale domani”, della quale Galeota è Presidente, ha condotto, con l’ausilio di due studiosi, Cipollini e Truglia, uno studio[3] sul quadrante est della città pubblicato nel 2015. Il coordinamento interseca la propria azione con l’attività amministrativa, proponendo atti e presidiando il territorio, come testimoniato anche dall’impegno di far slittare i tempi del bando delle periferie in scadenza nel periodo elettorale.
In questo periodo, il coordinamento è impegnato sul tema della rigenerazione urbana che tiene insieme, come un unico binario, i temi del patrimonio e quelli della convivenza, anche in questo caso tenendo insieme il presidio del territorio, dello scambio con cittadini, associazioni e altri enti del terzo settore, e dell’interlocuzione con il pubblico. In occasione delle gravi conseguenze dell’applicazione della Delibera 140, il coordinamento ha aperto, in collaborazione anche con il Cesv e con varie associazioni, una vertenza importante con il Comune per ottenere il riconoscimento del Valore Sociale nello Statuto del Comune di Roma Capitale.
Il Parco della Caffarella fino agli anni ’80 era un posto pericoloso, destinatario di discariche nel periodo della forte urbanizzazione della zona, che hanno stratificato detriti fino a creare una serie di avvallamenti e colline tuttora presenti. Ad opera di un gruppo di giovani, una parte di verde è stata riconquistata all’identità di campagna dell’Agro Romano a seguito dell’organizzazione di visite guidate alle discariche, con la partecipazione di persone importanti e la presentazione di 13.000 firme al Parlamento. Dal 1984 il Comitato è una OdV che collabora con il Comune di Roma per la gestione sociale degli spazi del Parco restituito alla fruizione libera della cittadinanza. L’Associazione Humus Onlus ha la sua sede nel Parco dove organizza visite guidate ed attività didattiche, gestendo i servizi dell’Ente Parco all’interno del Casale di Vigna Cardinali.
Le due esperienze testimoniano di come la presenza attiva di reti che si prefiggono il miglioramento della qualità della vita, in una città come Roma, assuma la valenza di una leva strategica per un cambiamento culturale che consente di cogliere la vita quotidiana e gli ambiti nei quali si svolge, come valore sociale fondante.
La società si riproduce e si produce, dice la sociologia, ma questi processi, lungi dall’essere il risultato di tendenze spontanee che rispondono a sistemi di relazioni sociali, primarie e secondarie, si presentano oggi come esiti della contesa di spazi per la manifestazione del senso della propria esistenza che ogni gruppo sociale cerca di affermare, segnando con essa il contesto: linguaggi, consumi, comportamenti; sono elementi che definiscono cluster sociali spesso chiusi gli uni agli altri. La produzione della società, quindi, avviene nel conflitto, come bene sanno i politici che, si dice, prediligano comunicare con la “pancia” del paese. Ma quel conflitto muove da basi potenti: sentimenti, emozioni, desideri, sogni e bisogni, di singoli o piccole comunità affettive, viaggianti in contesti disorientanti, che lasciano spazio a forme di autoritarismo culturale capaci di costruire bussole orientate a interessi celati.
Così Cippitelli ha mostrato foto della “città pensata”, la città giardino dell’inizio degli anni ’30, e immagini di muri contemporanei “sporcati” dalle Tag sovrapposte dei writers, ponendo il tema del bello e della sua soggettività. Ha anche ricordato le tre R di Timothy Garton Ash, Rispetto, Riconoscimento, Rappresentatività, non in senso elettorale, quest’ultima, ma come misura della possibilità di un individuo di riconoscere se stesso in una collettività e di esserne a sua volta riconosciuto. E’ da qui che nascono le Tag sui muri delle città, dalla non rinuncia da parte di alcuni giovani a marcare la realtà con il proprio segno, quello che li Rappresenta e che altri giovani potranno Riconoscere o comunque Rispettare.
Questa proposta per la lettura della città, che esplode con le immagini delle baracche autocostruite degli insediamenti spontanei dei Rom, riprende e sostanzia l’approccio proposto per la lettura del territorio nell’intero percorso formativo “L’anello debole come struttura sociale. La progettazione situata come metodo per le reti”. Un percorso che non ha proposto contenuti, quanto percorsi cognitivi che offrissero strumenti di capacitazione verso la soggettività inespressa dei partecipanti.
I tre o quattro moduli proposti nel corso miravano a costruire un tragitto riflessivo, finalizzato a costruire strumenti per prendere consapevolezza ed esprimere quel valore che, nei documenti europei e in quelli italiani che li recepiscono, viene sancito come determinante per il successo delle capacità inclusive di un progetto o di un programma. Si potrebbe dire che gli enti che si occupano del lavoro sociale, volontario e professionale, siano in grado di offrire proprio quelle tre R – Rispetto, Riconoscimento e Rappresentanza – che Timothy Garton Ash sostiene vengano ricercate dagli attori sociali della città, e che questo sia il valore che gli viene riconosciuto.
La consapevolezza di esprimerlo e la capacità di costruire cultura a partire dal proprio valore, costituiscono i presupposti che mettono in grado il volontariato e il terzo settore di confrontarsi e collaborare con gli attori del pubblico e del privato, senza vedere annullato il proprio potenziale.
Ma questo valore non è semplicemente connaturato a una forma giuridica, ha invece bisogno di una serie di condizioni specifiche per essere prodotto e la condizione essenziale risiede nella opportuna costruzione dell’oggetto del proprio intervento. Tale oggetto, infatti, ha sempre una relazione indiretta con i soggetti beneficiari di un intervento o di un servizio, che assumono una posizione, possiamo dire, incidentale, giacché esso riguarda le connessioni con la realtà sociale.
Questa distanza che si pone tra l’oggetto dell’intervento e le persone in carne e ossa che ne sono coinvolte, costituisce la garanzia delle tre R, sia per i fruitori, sia per operatori e volontari che, nel maneggiare una problematica, devono sempre fare uno o più passaggi di “risalita in generalità” – come direbbe Ota de Leonardis – e quindi politicizzare il problema e universalizzare la soluzione. Naturalmente, i soggetti in carne ed ossa hanno una parte importante in quanto costituiscono parte integrante e attiva dell’azione sociale che l’intervento o il servizio realizzano. Un’azione sociale, quindi un processo intenzionale e orientato a valori e finalità che devono essere condivise dai soggetti agenti.
Il lavoro sociale è quindi anche comunicazione che si contende l’affollato spazio della costruzione di senso. Relazioni orientate a una solidarietà che è Rispetto, Riconoscimento e Rappresentatività, dell’altro da sé. Capace di offrire materiali utili alla costruzione di senso a chi rischia di cadere continuamente preda di interessi tanto celati, quanto spietati.
L’anello debole, chi non è rispettato, riconosciuto e rappresentato, quindi, costituisce la struttura sociale sulla quale si edifica il senso del quotidiano, senza il quale l’azione sociale non avrebbe luogo. Ma chi costruisce questo senso, se a prevalere sono gli interessi occultati di chi conquista la fiducia delle persone, offrendo in cambio beni di consumo nutriti della loro stessa creatività e lascia loro le briciole?
C’è ancora vita, si direbbe, in tutto ciò che cerca di emergere e di trovare spazi per esprimersi, ci sono energie vitali in quanto eccede l’ordine costituito e che costituisce il campo che operatori sociali e volontari percorrono e praticano creando un limen dove sussiste un confine, per mettere in comunicazione mondi diversi.
L’intervento sociale, in questa luce, non trasporta coloro che sono persi alla realtà ordinata e funzionante dalla parte giusta, opera piuttosto a ristabilire connessioni, pratica il limen, cerca di comprenderlo e di stabilirvi nessi con la realtà sociale, lo illumina e lo fa funzionare come una zona franca, dove ogni incontro diventa possibile, dove ogni scambio genera trasformazione per tutti quanti ne vengono coinvolti. Ma questo scambio generativo non è sufficiente, è necessario, infatti, che ciò che si genera trovi spazio e visibilità. Parliamo ancora di Rispetto e di Riconoscibilità. E’ necessario che lo spazio sociale possa accogliere il segno di tutte le presenze che lo animano e che al contempo esse possano trasformarsi nella relazione con gli altri diversi da sé.
Ecco allora che volontariato e terzo settore possono costituire spazi di soggettività e che TEU può divenire spazio per la rappresentatività del senso costruito nel limen dell’anello debole ed aprire spazi di azione in territori ancora non presidiati dalla centralità delle persone e dei diritti, agendo nel solco dello sviluppo locale partecipato.
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[1] Massimo Cacciari, La città, Pazzini Editore, Villa Verucchio (RN), 2004. I virgolettati nel periodo sono tratti dal testo tra pag. 7 e pag. 9.
[2] Louis Wirth, Sociologo urbano tedesco, membro della Scuola di Chicago (1897-1952).
[3] R. Cipollini, F. G. Truglia, La metropoli ineguale. Analisi sociologica del quadrante est di Roma, Aracne Editrice, Ariccia (RM), 2015.
In copertina: “People trees”, di Peter Cook e Becky Northeyis
Scritto da: Eleonora Di Maggio